Vorrei proporre un ragionamento su questo problema, che affligge ad ogni nuova stagione una percentuale di utenti nautici impressionante ed assolutamente illogica.
Parliamo di numeri (avarie, costi, frequenza delle rotture, ecc…) che hanno dell’incredibile, eppure non sembrano suscitare le reazioni violente che sarebbe lecito attendersi e non si ha notizia di meccanici o riparatori passati per le armi sul posto, nel piazzale del marina, come le premesse darebbero per scontato.
Non riesco a capire…
Si fa un numero di ore di moto ridicolo, eppure per riuscire a farlo, ogni benedetto inizio di stagione si passano ore a ravanare a bordo, a sporcarsi in sala macchine, a sbucciarsi gomiti, ginocchia, schiena, mani, si pagano manutenzioni assolutamente indifferibili (pena un inesorabile deferimento all’inflessibile tribunale del Santo Uffizio, con pene corporali) eseguite da un discepolo segreto proveniente dalla linea di sangue di Leonardo da Vinci e si comprano ricambi evidentemente costruiti esclusivamente da vergini maori bionde con il solo uso della lingua e dell’alluce del piede sinistro, partendo da “grezzi” fusi con stampi in platino di purezza certificata (altrimenti non si possono spiegare i costi).
E nonostante tutto ciò, si incappa inevitabilmente in avarie dall’effetto distruttivo sulla serenità di tutti i presenti a bordo ed il povero diportista passerà interminabili giornate a tentare di riabilitarsi dagli sguardi colpevolizzanti dei suoi compagni di disavventura (mogli, figli, amici).
Ma soprattutto, visto che in mare non si riesce a fermarsi al bordo della carreggiata e chiamare il carro soccorso, ci si può mettere facilmente anche in guai di una certa serietà.
Se si trasferisse il tutto in ambito automobilistico, lo stesso “utente” farebbe fatica ad accettare anche un centesimo dei disagi, dei costi, delle insicurezze che invece sembra accettare di buon grado o comunque con giobbesca pazienza, quando scende dalla macchina e sale in barca.
Bisogna che ci ragioniamo sopra, a questa disgraziata questione: bisogna che ne comprendiamo le “condizioni al contorno”, le difficoltà reali, le ragioni profonde, la “ratio” ultima.
Intanto iniziamo a considerare che, in ambito automobilistico, la “riparazione” in realtà non esiste più, se non (limitatamente) per un po’ di lavori di carrozzeria: tutto il resto della macchina non viene riparato e neanche c’è più qualcuno (il meccanico o l’elettrauto) che “cerca” i guasti e le ragioni del malfunzionamento. Ciò che in realtà avviene è che si collega la macchina ad un computer per mezzo di una apposita interfaccia, ed il computer emetterà la diagnosi, richiedendo la sostituzione di uno o più componenti. L’operatore acriticamente riceve una istruzione di lavoro, si procura in magazzino componente e materiali di consumo precodificato per ogni intervento, effettua la sostituzione, riconnette il multi-pin alla porta di interfaccia dell’auto e fa controllare al vero decisor
e che l’inconveniente sia risolto (chi decide se è tutto OK, è ancora il computer).
Milioni e milioni di euro o dollari di progettazione e prototipizzazione servono a prevedere ogni possibile necessità di intervento, ogni via di accesso ad ogni componente affogato nel vano motore, ogni sequenza di manodopera (con fissazione di un preciso tempario): il meccanico non deve inventarsi niente, non deve cercare nulla, non deve scoprire alcunché. Deve eseguire un lavoro perfettamente definito, testato, provato e riprovato e di cui, con largo anticipo, si è già deciso tutto in altra sede.
Anzi, le case automobilistiche hanno da tempo già capito perfettamente che se il meccanico non si attiene pedissequamente alla procedura stabilita, finirà per fare certamente casino.
Nessuno spiega più cosa vuol dire anticipo, fase, regolazione della miscela di combustione, ecc… agli addetti alla rete di assistenza.
Non si aggiusta più: si sostituisce.
Le macchine sono da tempo diventate troppo sofisticate perché un meccanico possa davvero “metterci le mani”: è ormai tutto, ampiamente, oltre la sua portata di competenza ed esperienza, per quanto possa essere in teoria bravo.
Del resto, bisogna anche dire che le macchine sono diventate pazzescamente affidabili e meno ci si mettono le mani sopra e meglio è: praticamente si stabiliscono dei pur lunghissimi intervalli di cambio olio al solo fine di portare almeno tre volte ogni auto in officina nei suoi primi 100.000 kilometri, perché ci si possa collegare il famoso cavo di interfaccia diagnostica ed un computer veda se è tutto OK. In realtà gli olii di oggi potrebbero sopportare intervalli di sostituzione molto più lunghi: è che le case automobilistiche non si fidano (responsabilità da prodotto) e quindi preferiscono dare almeno un’occhiata di tanto in tanto.
Non esiste più il “rodaggio”. In fondo, non esiste più neanche il vero “tagliando” periodico.
Vedrete che prestissimo, con l’ormai vicinissimo arrivo delle auto perennemente connesse sul web, tenderanno a sparire anche le manutenzioni periodiche calendariali: la macchina ogni xx millisecondi spedirà alla casa-madre via wi-fi un pacchetto dati che comprende tutto ciò che oggi si scopre con la connessione diagnostica in officina.
Sul display del cruscotto apparirà allora il messaggio di portare l’auto in officina e proponendo già due o tre alternative di appuntamento (a seconda di dove si trova la macchina, a seconda di quanto è urgente la manutenzione ed a seconda di che carico di lavoro hanno le officine di quel marchio in un raggio di distanza ragionevole) e l’utente vedrà sul display anche il costo previsto, potrà stipulare l’offerta-convenzione che comprende anche i successivi due altri interventi a prezzo scontato, con borraccia omaggio da ritirare in officina e giro di prova, mentre aspetta, alla guida del nuovo modello già prenotata (senza impegno), in anteprima: il cliente sceglie e l’officina riceve già il programma di lavoro aggiornato, riceverà la scatola con i ricambi necessari ed i materiali di consumo da usare per quell’intervento la mattina fissata (dal magazzino centrale automatizzato), ed effettuerà il lavoro.
Fino a quando non avrà effettuato la prevista visita all’officina di assistenza concordata, l’auto funzionerà in modalità “protezione”, a prestazioni (un pochino) limitate per non causare danni peggiori (e costringere il proprietario a non rinviare il lavoro).
Questo è il mondo dell’auto di oggi. E tutto questo vale per il motore, per il cambio, per i freni, per il condizionatore, per le lampadine delle luci, per il liquido del tergi, per i fumi di scarico, il filtro antipolline dell’abitacolo, ecc…
Capite la distanza siderale che intercorre tra la nostra auto e la barca?
L’auto è già pronta a tutto questo. La barca è ancora negli anni ’50, con il “bravo meccanico” ed i suoi saperi segreti, il grafitaggio del sottoscocca, l’ingrassaggio, i misteri gaudiosi da iniziati della regolazione dei carburatori, il motorista che “ausculta” il motore con aria ispirata ed occhio socchiuso, il martello, la pinza, le mani unte e lo straccio nella tasca posteriore.
Con questa prospettiva davanti, cosa volete che pensi e che faccia il riparatore navale?
Lui vede se stesso sull’orlo perenne del baratro dell’indigenza, i piccoli figli nella penombra della casa polverosa e silente, fredda nell’inverno senza fine del lavoro perduto, che aspettano il tozzo di pane che il padre non riuscirà più a portare seco.
“
… e il suo nido è nell’ombra che aspetta, e che pigola sempre più piano …” scriveva Pascoli della rondine che ritornava al nido con l’insetto nel becco per i suoi pulcini “
l’uccisero: cadde tra spini…”
E vede il parterre del suo ormeggio turistico come un bel campo di grano da falciare (i diportisti come grasse e gonfie spighe di grano, da tosare adeguatamente, finché si può).
È come negli ultimi giorni dell’assedio di Costantinopoli: si porta via tutto quello che si può, prima delle orde barbariche dei nuovi motori che ci lasceranno senza lavoro e senza mercede (o meglio, senza Mercedes, viste le tariffe in capo nautico).
Per fortuna (loro, non nostra) le barche sono veramente fatte come le auto negli anni ’50, ma che dico: anni ‘30, con i tubi, le fascette, le morsettiere, le pompe marca X o Y, i cavi sparsi a caso un po’ qui, un po’ lì, un po’ non si sa dove, l’olio che cola, la ruggine, i cigolii, i rumori strani.
Invece, l’utente è quello che scende dall’auto del 2015, che vuole salire in barca, girare la chiave ed andare via in tutta sicurezza (“ma davvero vuoi che non ci abbiano pensato, e che mi si ferma il motore in mezzo al mare? Ma che, siamo pazzi? Con tutto quello che ho speso…”).
Ebbene si, caro diportista: non c’è nessun sommo amministratore delegato di cantiere che ci abbia pensato veramente. E la tua barca si fermerà…
Per qualsiasi bimbo, il suo giocattolo nuovo è e deve restare perfetto, lucido e con le lucine accese: un qualsiasi difetto, un malfunzionamento, il giocattolo che resta muto e silente, equivale ad un sanguinoso tradimento, che condizionerà irreparabilmente il suo armonico sviluppo da adulto.
Così è anche il diportista, confortato dall’esperienza automobilistica e dunque spinto ad aspettarsi un comportamento irreprensibile analogo anche da parte di questa baracca sbilenca ed approssimativa che è la barca.
Troppo complessa, la barca. Troppo piena di oggetti complicati e ciascuno con le sue esigenze di interfaccia. Troppe le mani e le teste che ci hanno lavorato, per assicurare che la prestazione di ogni elemento o componente sia quella prevista a progetto.
Manca la visione d’insieme del mondo automobilistico. Manca l’infinito numero di ore di progettazione che nelle auto hanno sviscerato ogni possibile modo di funzionamento degradato.
La barca si fermerà. E tua moglie ti guarderà con odio. I tuoi figli ti faranno sentire piccolo e stupido, gli amici cominceranno ad organizzare sessioni di presa per il culo sistematica ai tuoi danni.
Tu stesso ti guarderai allo specchio, a bordo del tuo giocattolo rotto, e ti vedrai tutto stupore e ferocia, come il primo uomo di Neanderthal che è rimasto con il manico dell’ascia in mano, mentre i legacci della selce si sono sciolti, e la tigre con i denti a sciabola avanza con la bava alla bocca.
Sembra una tigre con i denti a sciabola, vero? Invece è un elettricista nautico.
LG
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